sabato 7 aprile 2012

Il mio migliore incubo


Questa volta Paola mi ha preso in contro piede: questo film non l'avevo mai sentito nominare!! Ecco la sua recensione:


                               ll MIO MIGLIORE INCUBO

LA MIA RECENSIONE  

     Non è una multisala quella dove siamo andati questa volta:anzi è  un grande cinema anni 70/80, ma purtroppo con una pendenza così scarsa che se qualcuno si siede davanti…bisogna cambiare posto, se è della nostra altezza. Ma la programmazione è buona e poi volevamo vedere “Il mio migliore incubo”(traduzione irragionevole di “Mon pire couchemar”) Debbo dire subito che per la terza volta  un film francese mi è piaciuto. Meno splendente e divertente di “Quasi amici”,pur essendo dello stesso  genere,  si avvale della mano sapiente e sofisticata di Annie Fontaine e della presenza di un notevole gruppo di attori.

Prima fra tutti  Isabel Huppert (scusate se è poco) che con garbo  ed ironia sottile, interpreta l’algida Agathe, donna sicura e di gran successo. Sempre elegante (anche quando si trova al lavaggio sexy della sua auto: tre fanciulle seminude  che si strofinano e insaponano  e lei  rifiuta di pagare dicendo : è servizio non richiesto)  sia nel suo tubino nero di Givenchy o in jeans e maglietta o in accappatoio.

Patrick , Benoit Pelverood, rozzo e imbroglione, accende il confronto con la diversità che poi aumenta con la relazione tra l’editore  (Andrè Dussolier) e la giovane ambientalista(Virginie Efira) Non si ride, ma si sorride soprattutto allo scoppiettio  delle battute e  interessano i riferimenti intellettuali, come l’esposizione delle foto artistiche di Hirosci Sugimoto (“il bianco non è realmente bianco”), e non dico quello che accade ad una di esse, 

Fa bene certamente vedere attori impegnati come la Huppert e Dussolier recitare con il comico Polverood: è piacevole questo cinema francese che mescola i generi e affronta anche i seri temi della vita quotidiana con

leggerezza, senza scadere  mai nello sboccacciato . Non c’è bisogno di esibire seni e sederi ogni momento.

Una volta, mi pare di ricordare, anche la commedia italiana era così…oggi siamo ai cinepanettoni… che purtroppo riempiono le sale.


Come ho letto la recensione di Paola, ho voluto documentarmi un pochino e ho scoperto che: "

Chi ama frequentare la Ville Lumière (tenendosi magari lontano dai percorsi più turistici) sa che il VI arrondissement è l'elegante rifugio della ricca, raffinata (e spesso odiosa) borghesia intellettuale parigina. E' proprio tra le strade di questo blasonato quartiere della Rive Gauche che è ambientato il nuovo film di Anne Fontaine, una corrosiva commedia che fa dell'autoironia (dei personaggi e degli interpreti) la sua stessa ragion d'essere. I protagonisti sono infatti due tipici rappresentanti di questa narcisistica gauche caviar: Agathe (Isabelle Huppert) gestisce una galleria d'arte ed è sposata con François (André Dussollier), un editore. I due sembrano una coppia perfetta, hanno un figlio e conducono una vita agiata e di successo. Poi però succede qualcosa: l'arrivo in casa del rozzo e insolente Patrick (Benoît Poelvoorde), assunto per svolgere dei lavori nel loro appartamento, e l'incontro di François con una giovane e affascinante bionda, sconvolgerà le rispettive esistenze dei due coniugi.

La scena viene ben presto “rubata” dal rapporto che si crea tra Agathe e Patrick, con le prevedibili situazioni comico-grottesche che vengono fuori dal classico contrasto tra due temperamenti estremamente rigidi e agli antipodi. A reggere il ritmo (molto sostenuto) e i dialoghi scoppiettanti del film è lo straordinario gioco attoriale imbastito dall'inedita coppia Huppert/Poelvoorde, dalla piccante ironia con cui si divertono a prendersi in giro e alla divertente disinvoltura con cui demoliscono la sensualità glaciale di lei e l'ingenuità mascalzona di lui. Probabilmente questo film piacerà molto a chi ha apprezzato un altro film francese uscito di recente, il campione d'incassi «Quasi amici» di Olivier Nakache e Éric Toledano. Non solo perché, come «Il mio miglior incubo!», si sviluppa sull'inaspettato incontro tra due “tipi sociali” completamente opposti (un aristocratico paraplegico e un ragazzone della banlieu), ma perché le due pellicole hanno in comune una certa idea di commedia, sempre più frequente nel cinema francese contemporaneo.

Nella patria dei cinéphiles e della politique des auteurs stiamo ormai assistendo da un po' di anni a un progressivo avvicinamento tra i temi del cinema d'autore e quelli del cinema più popolare e ciò sta
 avvenendo nel genere che più si presta all'ibridazione tra modelli, come la commedia. Se due mostri sacri del cinema francese più intellettuale come Huppert e Dussollier decidono senza alcun problema di dividere la scena con un comico come Poelvoorde è il segnale che si stanno percorrendo nuove strade. E' un fatto da salutare positivamente, perché consente al grande pubblico di potersi gustare film divertenti che non evitano però di affrontare i seri problemi di tutti i giorni. Una volta anche in Italia era così. Ma questa è tutta un'altra storia."
Naturalmente la mia ricerca non è dovuta al fatto che la recensione di Paola non fosse sufficiente, ma dal fatto che, non conoscendo questa storia, mi sono davvero incuriosita e ho voluto scoprirla. Che il cinema francese voglia bagnarci il naso? Forza! Non facciamoci superare!!!!  





 



1 commento:

  1. ourtroppo in questo momento le cose vanno proprio così..il cinema francese, soprattutto quello leggero, è migliore sia per l'interpretazione che per la regia e per il modo di presentare le storie e le situazioni.Bisogna ammetterlo e mi dispiace perchè, sinceramente non ho mai amato i film francesi (forse il Tempo delle mele aveva esaurito la mia pazienza materna!!!).

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