lunedì 28 maggio 2012

Per non dimenticare - capitolo quarto



Si dovette aspettare l’indomani  prima di avere notizie.
Quelle ore furono interminabili e l’attesa straziante.
Rivedo ancora le facce di tutti, incredule, nello sbigottimento generale di chi è stato colto di sorpresa da qualcosa di molto grande, ma per niente disposto a cedere né a rassegnarsi.

Mia madre, pur fuori di sé, era forse la più lucida.

Non  aveva fatto altro che pensare.. ci doveva pur essere un modo per  cambiare la situazione …

Determinata, caparbia, decisa e pronta a tutto, senza ascoltare nessuno, guidata solo dalle motivazioni del cuore e dal coraggio che non le mancava, decise subito di mettersi in viaggio, una volta saputo quale era il posto dove avevano portato i prigionieri.

Non era poi così lontano, a dire il vero,  e le indicazioni erano precise.

Quelli del comando erano stati di parola, si erano informati e  si seppe per certo che gli uomini “rastrellati”’ erano a Montecchio, a 10 km da Buti.

Così lei partì in bicicletta.
Bella, capelli ondulati, alta, snella, ben fatta, iniziò la prima delle sue tante avventure, noncurante di altri tipi di rischi che poteva correre, pur di potergli parlare o solo anche per rivederlo, poi, come si dice.. il resto si vedrà!
Arrivata  nelle vicinanze, purtroppo  si rende  subito conto, alla prima occhiata, che la casa dove si erano sistemati era troppo allo scoperto, senza un’ombra di verde che la nascondesse, visibilissima anche da lontano, pur essendo su un’altura .
Impensabile poter fuggire senza essere notati.
Riesce comunque ad  incontrare mio padre.
Gli parla, accorata, senza perdersi d’animo, esortandolo a fare qualcosa e  soprattutto a farlo in fretta.

Insieme, mettono a punto un piano e lei, solo a parlarne, vive questa possibilità intensamente, come l’unica probabile e sente il cuore farsi sempre più leggero e la speranza diventare sempre più certezza.
Rimane un po’ delusa nel vederlo spaurito, poco convinto, incerto, senza quel coraggio che si aspettava ma non si arrende lo stesso e continua ad esortarlo...ne ha tanto da dare  lei, che basta anche per lui .
Quando riparte, ha ben chiaro cosa deve fare e appena possibile, mette subito in atto il piano nei minimi dettagli.

Dunque…mio padre si sarebbe vestito da donna.

Un’amica di famiglia, di vecchia data, una certa Norvegia, più o meno simile nella corporatura, avrebbe procurato gli indumenti per il travestimento.

Quando l’indomani lo raggiunge, gli consegna tutto quello che serve per la farsa e  torna  a casa vivendo con trepidazione l’attesa .

Tocca a lui trovare il momento giusto per  attuare  il piano.. ed il momento arriva.

 Si  veste… tutto è perfetto…”sfido” chiunque nell’oscurità ad accorgersi dell’inganno .

Il cuore batte forte forte, ci siamo quasi , ma  per essere proprio sicuri di avercela fatta, manca solo di scendere il pendio e raggiungere la strada. Facile a dirsi ma bisogna crederci e  crederci con tutta l’anima .

L’attimo che precede la fuga è pieno di tensione, di respiri a stento trattenuti per paura di infrangere quel silenzio intorno.

Ma…c’è purtroppo qualcuno che lo infrange bruscamente .

E’ un prigioniero che comunica a mio padre che i tedeschi lo stanno chiamando.

Non era vero niente e i miei non avevano messo in conto minimamante  che per invidia si può arrivare a tanto .

Se ne resero conto dopo, quando ormai non si poteva tornare indietro, che mio padre aveva peccato di ingenuità, confidandosi con chi credeva essergli  amico.

La prima cosa da fare e più in fretta possibile fu quella di togliersi tutto e presentarsi immediatamente a “rapporto”.

Così il piano andò  in fumo .

Passò  del tempo e non fu più possibile escogitare altro.

Lei continuò ad andarlo a trovare, perché erano permessi consentiti,  ma davanti aveva sempre lo stesso uomo sfiduciato, poco disposto a mettersi in gioco , a rischiare ancora. Forse mio padre era apparentemente rassegnato, forse si comportava così perché temeva ripercussioni su mia madre…forse non era proprio un codardo…

Un giorno, però, mentre lei si avvicinava a quel luogo, ormai familiare, si accorse che c’era qualcosa di strano.. tutto intorno era come deserto. .non c’era il minimo movimento e fu una sorpresa amara scoprire che la grande casa era vuota .

La postazione era stata abbandonata, se ne erano andati tutti durante la notte… ma Dove ?  Nessuno fu di aiuto.

Passarono altri due lunghi mesi finché in paese circolò la notizia che era tornato a casa un prigioniero. Lo avevano rimandato perché affetto da tubercolosi.

Grazie a lui fu possibile sapere dove erano accampati in quel momento. Erano tutti sulle montagne pistoiesi e precisamente a Sammommè.

Mia madre cominciò a fremere, non viveva più…doveva trovare un modo per andare.


mamma

C’erano state vicende dolorosissime che avevano messo a dura prova gli stati d’animo di tutti e la paura ancora maggiore di quello che non si poteva prevedere incombeva e condizionava la  vita di ognuno di noi .

Giorni prima eravamo sul terrazzino intorno al tavolo a far colazione quando si sentirono i colpi della mitragliatrice squarciare l’aria .

Ebbi un sobbalzo tremendo e capii che qualcosa di molto grave doveva essere successo e anche il nonno che vidi scuro in volto e pensieroso , fu la conferma che non mi sbagliavo.

Il rumore era stato anche più forte forse perché i monti di Buti , facendo come un imbuto, ne avevano accentuato l’eco  a tal punto che da casa poteva sembrare di essere vicinissimi.

Nel pomeriggio si venne a sapere l’entità della tragedia: C’era stato un vero e proprio eccidio. Erano stati massacrati diciannove uomini sul monte, in Piavola.

Intanto qualche prigioniero che era riuscito a fuggire, tornava a casa e mia madre ogni giorno si aspettava di vederlo arrivare e quando i giorni passavano sempre uguali, l’angoscia cresceva.

Il nonno era consapevole che l’impresa non era da poco.. ci voleva molto coraggio e anche molta fortuna.
Aveva fatto la prima guerra mondiale e aveva esperienza di queste cose, oltre a sapere che le mosse del nemico non sono mai prevedibili.

Provava a rincuorarla, a ripetere che doveva aver pazienza, che non era semplice evadere da quella prigione e che bastava niente per scatenare l’ira dei tedeschi.

 Una volta riuscito a fuggire, se per caso lo avessero ritrovato, sarebbe stata sicura morte.

Ma lei insisteva, non si dava pace, voleva andare e non sentiva ragioni.  

A questo punto il nonno fu categorico: “Da sola no !”

Doveva trovare qualcuno che la accompagnasse perché i pericoli erano tanti, dovendo attraversare il Fronte e fare un  viaggio così  lungo.

Allora  lei cominciò a chiedere a parenti, amici, vicini, bussò a tutte le porte, certa che qualcuno che viveva il suo stesso dramma, non avrebbe esitato a seguirla , ma anche quelli che all’inizio sembravano propensi, poi, al momento di partire, per una ragione o per un’altra., facevano marcia indietro e non se la sentivano più di rischiare la pelle in un’impresa così pericolosa.

Dopo tanti affanni e delusioni lei, alla fine, trovò qualcuno… l’unico disponibile ad aiutarla, quello che purtroppo non aveva più niente da perdere, tanto la vita fino a quel momento gli era stata ingrata, togliendogli in un colpo solo, a breve distanza di tempo, moglie e  figlia.

E fu così che entrò in scena lo zio Sandrino. 

zio Sandrino



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