venerdì 22 maggio 2015

Inkheart







I film di genere fantasy non sono in testa alle mie preferenze, tanto che ne ho persi parecchi di quelli famosi, uno per tutti: il Signore degli Anelli. Avevo però apprezzato La storia infinita e ieri, avendo la tv tutta per me e non trovando nulla che mi appassionasse, sono finita su un film che ancora una volta parla del potere dei libri: Inkheart.
Mi è piaciuto. Le critiche che ho letto sono quasi tutte negative, ma io non sono una raffinata estimatrice cinematografica; quello che chiedo è il divertimento di un paio d'ore. Qui azione, fantasia, splendide location liguri e simpatia degli attori hanno ottenuto lo scopo che io cercavo: mi sono divertita.




Qui:http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=955 ho trovato la recensione che più si avvicina a quello che penso io:

Mortimer (Mo) Fletcher è, senza saperlo, uno dei pochi esseri umani, detti “lingue di fata”, in grado di far entrare nella realtà di tutti i giorni i protagonisti dei libri solo leggendone le pagine ad alta voce. Il fastidioso effetto collaterale è che come qualcosa passa dalla pagina al mondo reale, così qualcos’altro fa il percorso contrario ed è così che sua moglie, anni prima, si è persa nelle pagine di un libro dal titolo di Inkhart, che ora, purtroppo, pare difficilissimo da trovare.





 Così Mo, insieme a sua figlia Meggie, se ne va a zonzo per il mondo alla ricerca delle poche copie rimaste nella speranza di riportare indietro la moglie. Alle sue calcagna c’è Capricorno che, uscito dalle pagine di Inkheart, ha preso gusto al mondo reale e adesso vorrebbe costringere Mo a leggere per lui e a liberare così i suoi più malvagi e potenti alleati…
Questi i presupposti di una nuova avventura fantasy per tutta la famiglia, ispirata al primo libro di una trilogia della scrittrice tedesca Cornelia Funke. Il film, ambientato sulla costa e nell’entroterra liguri (l’autore del misterioso libro attorno a cui ruota tutta la vicenda ha nome Fenoglio, 



forse un omaggio allo scrittore piemontese, anche se le sue storie non hanno nulla a che fare con la Resistenza), è l’ennesima variazione sul tema dell’intersezione tra fantasia e realtà e sfrutta un meccanismo già usato, a suo tempo, nel celeberrimo La storia infinita.
Qui la storia, forse per il numero eccessivo di personaggi, scorre in modo un po’ troppo confuso e movimentato, con le regole del gioco che cambiano in corsa (le lingue di fata fanno entrare ed uscire dai libri persone e personaggi in modo casuale o pilotato? Possono inventare storie o devono attenersi a quel che c’è scritto? E così via) il che non rende sempre facile al pubblico stare dietro alle svolte.
Tuttavia, pur nella sua confusione, Inkheart ha il merito di riproporre in modo accattivante l’eterno fascino della parola scritta (alla fine sia Mo, che Maggie, devono prima scrivere ciò che poi leggendo porteranno alla vita), come pure di mettere in campo, pur senza sempre risolverle, una serie di questioni legate all’arte del raccontare come del vivere. Primo tra tutti il rapporto tra destino scritto da un altro e libertà personale (è il dilemma del giocoliere Dita di Polvere, timoroso di veder segnata la propria via da altri, ma nello stesso tempo tentato di scusare i propri errori dicendo che “è stato scritto così”), un problema che ovviamente non riguarda solamente i personaggi dei romanzi…



























Tutti i personaggi in scena si rapportano in un modo o nell’altro con i libri: c’è chi, come Fenoglio, li scrive e poi preferirebbe entrarci anziché vivere nel mondo reale, chi li adora in modo quasi maniacale e delega ad essi la propria vita emotiva come la bibliofila zia della moglie di Mo (Helen Mirren), chi ci si immerge come in un’avventura, come farebbe volentieri Maggie, chi li rende reali come Mo, e chi ne sfugge come Capricorno e la sua banda e poi vorrebbe usarli al semplice scopo di sfruttarne il potere.
Peccato che gli autori si siano fatti prendere la mano dall’invenzione fantastica (con mostri alati, animali parlanti, castelli e draghi) e dal piacere della citazione colta più che cercare di tenere insieme i tanti spunti di riflessione che pure la storia avrebbe potuto suggerire. Anche così, tuttavia, grazie ad interpreti all’altezza (primo tra tutti Paul Bettany, capace di dare profondità con la recitazione e gli sguardi a un personaggio appena tratteggiato), e a un uso intelligente degli effetti speciali, il film offre due ore di divertimento coinvolgente e senza controindicazioni.

Laura Cotta Ramosino

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