sabato 20 agosto 2016

Yamabushi






Con il termine yamabushi ( letteralmente: "colui che si trova/si nasconde tra le montagne") si indicano monaci asceti giapponesi che vivevano come eremiti tra le montagne e che un'antica tradizione considerava guerrieri invincibili, addirittura dotati di poteri soprannaturali. Essi seguivano principalmente la dottrina Shugendo, una combinazione di elementi buddhistii e shintoisti.



Nell'uso giapponese moderno, il termine yamabushi si riferisce ai praticanti dello Shugendo, una religione sincretista che, come già accennato, mescola elementi buddhisti (nella versione esoterica della setta Shingon) e shintoisti, ponendo grande enfasi sull'ascetismo e sulle pratiche di resistenza fisica. Gli yamabushi dalle tuniche bianche, con indosso una tromba horagai (ricavata dalla conchiglia dello strombo), sono ancora una visione comune vicino al luogo santo dello Shugendō di Dewa Sanzan e tra le montagne sacre di Kumano e Omine.





Gli yamabushi iniziarono come yamahoshi, gruppi (o individui) isolati di eremiti, asceti e "santoni" delle montagne, che seguivano la via dello Shugendō, una ricerca di poteri spirituali, mistici o soprannaturali ottenuti mediante l'ascetismo. Non si conosce il fondatore di questa tradizione, sebbene molti miti la attribuiscano a En no Gyoja, una sorta di Mago Merlino giapponese la cui reale esistenza è però contestata. Gli uomini che seguirono questa via divennero conosciuti sotto vari nomi, compresi kenja, kenza e shugenja. Questi mistici della montagna giunsero ad essere rinomati per le loro abilità magiche e le loro conoscenze occulte, ed erano ricercati come guaritori o medium, alla stessa maniera delle miko (termine che designa propriamente donne sciamane).
La maggior parte di questi asceti, oltre alla loro devozione allo Shugendō, studiavano gli insegnamenti della setta Tendai del Buddhismo, o della setta Shingon,  che fu una delle principali sette del mikkyo  o Buddhismo esoterico, secondo il quale l'illuminazione si trova attraverso l'isolamento, lo studio e la contemplazione di sé stessi, nonché della natura e di immagini esoteriche chiamate mandala. Sia la setta Shingon che quella Tendai vedevano le montagne come il luogo ideale per questo tipo di isolamento e e per la contemplazione della natura.





Nei loro ritiri di montagna, questi monaci studiavano non solo la natura e testi e immagini religiosi o spirituali, ma anche una varietà di arti marziali. È dubbio se essi sentissero la necessità di difendersi dai banditi, dagli altri monaci o dagli eserciti dei samurai, ma l'idea di studiare le arti marziali come mezzo per migliorarsi mentalmente e spiritualmente, e non soltanto fisicamente, ha sempre avuto un posto centrale nella cultura giapponese, al di là dei principi specifici di una setta religiosa o di un'altra. Così, al pari dei sōhei, gli yamabushi divennero tanto guerrieri quanto monaci.








Come gli altri tipi di monaci guerrieri, gli yamabushi erano abili nell'uso di un'ampia varietà di armamento. Non deve perciò sorprendere trovare riferimenti che li mostrano mentre combattono con arco e freccia, o con spada e pugnale. Tuttavia, al pari dei sōhei e degli ikkō-ikki, l'arma di elezione per gli yamabushi era la naginata.





In aggiunta alle loro abilità spirituali o mistiche, gli yamabushi erano spesso ritenuti abili praticanti del ninjutsu  , l'arte dei ninja. Si sa che i monaci della montagna ingaggiarono i ninja per combattere al loro fianco e per aiutarli in vari modi, più clandestini. E si sa anche che i ninja si travestivano spesso da monaci o asceti della montagna, in modo da passare più facilmente inosservati in certi ambienti. Molto probabilmente, questa può essere stata l'origine della confusione tra le due figure; sembra infatti improbabile che un numero elevato di yamabushi fossero stati addestrati nel ninjutsu dai clan ninja delle isole giapponesi.

Le funzioni del ninja includevano: lo spionaggio, il sabotaggio, l'infiltrazione, l'assassinio e la guerriglia. I loro metodi di condurre segrete guerre irregolari vennero ritenuti "disonorevoli" e "inferiori" dalla casta dei samurai, che osservava regole severe circa l'onore e il combattimento. 


























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