lunedì 31 ottobre 2016

Jack o'lantern

Ogni anno in questa stagione abbiamo parlato della festa di Halloween , di come sia nata e di quali siano le tradizioni ad essa connesse.




 Oggi ho trovato qui: https://filippofabiopergolizzi.wordpress.com/2014/10/14/la-vera-storia-di-stingy-jack-jack-olantern/
qualcosa di cui non avevamo ancora raccontato:



Sono ormai secoli che la gente crea zucche per la notte di Halloween chiamate comunemente Jack o’Lantern.
Questa è una pratica che ha avuto origine da una leggenda irlandese, riguardante un uomo molto “Avaro”, soprannominato per l’appunto “Stingy Jack.” Seppure il suo nome sia utilizzato ormai da secoli, non tutti conoscono la sua storia e come tutto ebbe inizio, ma attraverso queste poche righe cercherò di porre rimedio.
Si narra che Jack fosse un vecchio fabbro solitario, ubriacone, spilorcio, e dal cattivo carattere. Una sera, immerso come sempre negli alcolici, a Jack venne un’infarto ed il diavolo si presentò ai suoi occhi per riscattare la sua anima nera. Astuto come una volpe, Jack chiese al diavolo, come suo ultimo desiderio, il poter fare ancora un’ultima bevuta, e precisando di non possedere il denaro per potersi pagare da bere, convinse il diavolo a trasformarsi in moneta da sei pence.





Una volta che il diavolo si trasformò, Jack non perse l’occasione e mise la moneta in tasca vicino ad una croce d’argento, impedendo al diavolo di tornare alla sua forma originale. In cambio della sua liberazione, Jack chiese al diavolo di non reclamare la sua anima per dieci anni (per alcuni si trattò solo di un anno) ed ovviamente il diavolo acconsentì e Jack tornò alla sua solita vita.

Passato il tempo pattuito, il diavolo tornò da Jack per onorare il patto, ma fu nuovamente ingannato dal furbacchione che gli chiese di raccogliere una mela da un albero vicino. Non avendo nulla da temere il diavolo acconsentì, ma Jack segnò subito una croce sulla corteccia con il coltello ed il diavolo non potè più scendere. Stavolta, la richiesta di Jack fu diversa dalla precedente ed era definitiva: il diavolo doveva rinunciare alla sua anima per sempre.
Nonostante fosse stato così scaltro da scampare all’inferno, Jack alla fine morì ma non trovò posto in paradiso poiché Dio rifiutò la sua anima nera. Jack tentò la via degli inferi pur di non rimanere da solo, ma anche il diavolo, indispettito dai suoi trucchetti, mantenne il patto di non reclamare la sua anima e non gli aprì le porte dell’inferno. Visto che la strada del ritorno era buia, convinse il diavolo a donargli almeno un pezzo di carbone ardente, che infilò all’interno di una rapa per illuminare il suo cammino mentre vagava come un anima in pena e dando origine al suo nome “Jack o’Lantern”.




In Irlanda e in Scozia, la gente ha cominciato a fare varie versioni di Jack O’Lantern scolpendo rape e patate, e mettendole fuori dalle finestre o vicino alle porte, con l’intento di spaventare Jack e gli altri spiriti maligni erranti. Come ho già scritto nell’articolo “Dolcetto o Scherzetto”, quando gli irlandesi giunsero negli Stati Uniti, dovettero adattare la leggenda al frutto nativo e più abbondante d’America: “La Zucca”. La leggenda divenne col tempo un vero e proprio business e Jack o’Lantern divenne il simbolo della festa di Halloween ed almeno per quel giorno, cercate di non rompere specchi, di passare sotto le scale o di spargere sale, perché Jack il viandante, alle vostre porte potrebbe bussare.




domenica 30 ottobre 2016

I quadri plastici di Avigliano

Troppo spesso  ci ritroviamo  a parlare di politici corrotti o incapaci, di città e di quartieri dove la malavita si insinua come un cancro maligno, di servizi che non funzionano, di conti che non tornano, dimenticando, come se fosse una faccenda scontata, l'enorme ricchezza della storia , dell'arte in tutte le sue forme, della cultura e delle tradizioni che tante persone di buona volontà si sforzano di custodire, coltivare e diffondere nel nostro paese. Certamente la realtà ha due volti, e nell'intristirci per ciò che non possiamo o non vogliamo cambiare in pochi, spesso ci priviamo del conforto della bellezza e della forza che ci viene dai migliori.

Un esempio: non avevo mai sentito parlare dei quadri plastici di Avigliano,ma quando li ho visti in tv ne sono rimasta incantata.





Avigliano è un paese di poco meno di 12.000 abitanti, in provincia di Potenza, in Basilicata. Ogni estate, a metà  giugno,  si festeggia il patrono S.Vito , con un corteo storico detto "sfilata dei turchi con la nave", dove si possono ammirare alcuni quadri plastici.
Per saperne di più ho trovato qualche notizia qui

che cercherò di sintetizzare:

I quadri plastici, o viventi, della tradizione aviglianese sono una rappresentazione vivente di scene storiche, mitologiche, sacre immaginarie o di capolavori dell'arte.
Secondo la tradizione, un corteo sfila lungo le strade del paese, rievocando le incursioni saracene avvenute nella Lucania, con una "nave", una costruzione di legno rivestita di carta colorata, il "Gran Turco" capo degli invasori e la statua del Santo protettore che difende le popolazioni inermi. La "nave" viene portata a spalla precedeuta da uomini travestiti da turchi e da bambini che reggono lampioncini veneziani. 
La nave è seguita da carri trainati da muli e cavalli sui quali vengono allestiti dei quadri, detti plastici, perchè riproducono soggetti di arte sacra e storici, interpretati da giovani, che ad ogni sosta dei carri assumono quella rigidità che conferisce la tridimensionalità dell'opera d'arte.
La tradizione dei quadri risale probabilmente al 1700, ma è soltanto dal 1990 che, dopo essere rimasta a lungo nell'oblio, è stata ripresa da un gruppo di associazioni locali.

































Con il passare degli anni le rappresentazioni si sono fatte sempre più raffinate. Si studiano i costumi e le acconciature, le somiglianze del volto, i più piccoli dettagli degli arredi e soprattutto i giochi di luce che conferiscono rotondità e profondità ai quadri.




 Lo scorso anno gli artisti di Avigliano hanno reso omaggio al Caravaggio, un pittore che come si sa fa della luce l'elemento base dei suoi quadri.  
Le opere scelte erano "La crocifissione di S.Pietro", "La vocazione di Matteo" e " La morte della Vergine".

A tutti quelli che, dedicando tempo, passione, ingegno e creatività, si adoperano per creare e far conoscere questi capolavori, credo debba essere riconosciuto un grande merito ed un caloroso ringraziamento.









sabato 29 ottobre 2016

Galina Alenina

Ho trovato su una pagina fb che pubblica diverse opere di pittori una serie di quadri con la scritta: ressam Galina Alenina. Mi pare di aver capito che la parola ressam in turco significhi pittore. Non ho trovato però assolutamente niente sotto il nome di Galina Alenina. Nome che mi sembra russo. Che sia un'artista emergente di cui ancora non si è detto nulla? Forse....Intanto condivido le sue opere:

















venerdì 28 ottobre 2016

Panini, panini, panini !

Sorry! Non ricordo più quali sono i siti da cui ho preso queste informazioni! Non è farina del mio sacco, ma è materiale trovato nel web tra gli altri anche qui:http://www.focus.it/cultura/storia/la-storia-dei-panini?gimg=53744&gpath=#img53744







 Pane e companatico sono probabilmente compagni fin dai primi tentativi di panificazione umani. Secondo Arturo Warman, uno dei più celebri antropologi messicani, la tortilla, semplice impasto di farina di mais e acqua, ha almeno 7.000 anni d’età. Lo si può dedurre dagli scavi nella Valle de Tehuacán, nello Stato di Puebla a est di Città del Messico. 




In India le prime testimonianze del roti, la cialda di pane asiatica, risalgono al 2.000 avanti Cristo. Ma le testimonianze del panino vero e proprio risalgono a epoca romana.






 Il panino più antico del mondo è il Panis ac perna, ossia pane al mosto e prosciutto cotto nell'acqua di fichi secchi, non c’è dubbio. Gli abitanti della Roma imperiale ne erano così ghiotti, che la via dei mercati urbani era tutta un pigia pigia di salumai. Moltissimi anni dopo, a questo spuntino fu dedicata addirittura una strada della Capitale, via Panisperna. Merito delle suore Clarisse che per secoli, nella vicina chiesa di San Lorenzo, ogni 10 agosto ne distribuivano ai poveri qualche boccone.




Il pane accompagnato al companatico è una costante della storia dell'uomo senza distinzione di razza, etnia e origine geografica.
Di derivazione maya e atzeca ci sono tortilla, burrito e taco.
Ci sono poi i piatti di pane africani (come l’injera etiopica) e la pita mediorientale, che in decine di variazioni ha conquistato Turchia, Grecia, Balcani, Israele e Palestina, divenendo comodo involucro per döner kebab, souvlaki, gyro o falafel. Pita viene dal greco bizantino: significa torta e ha almeno 1.700 anni. Ancora più antico il roti indiano: se ne trova traccia in testi di 2 mila anni fa in sanscrito. Allo stesso filone appartiene la piadina romagnola, anche se compare con questo nome in una ricetta soltanto nel 1371.

Il panino, però, è ben altra cosa. Tra gli antenati più illustri, a parte il panis ac perna romano, c’è una ricetta del I secolo d. C. ideata dal rabbino Hiller l’Anziano, che mise fra due fette di pane azzimo l’agnello pasquale e le erbe amare della tradizione, per simboleggiare gli Ebrei schiacciati dal giogo egizio.




 Fino al 1762 il panino non aveva un vero nome: si chiamava pane e formaggio, pane e arrosto, pane etc. L’inatteso battesimo del panino spettò all’inglese John Montagu, quarto conte di Sandwich (nella foto), esploratore e accanito giocatore di carte. Storia vuole che, inchiodato al tavolo da gioco del Beef Steak Club di Londra, il nobiluomo avesse ordinato a un cameriere di portargli qualche fetta di carne in mezzo a due fette di pane tostato, poiché non voleva mollare le carte per andare al ristorante. La cosa in sé non aveva nulla di straordinario, ma da quel momento tutti gli altri soci del club presero a chiedere “lo stesso di Sandwich”. E da qui a ordinare semplicemente “un sandwich” ci volle meno di un boccone.






Pur non essendoci regole obbligatorie per costruirlo, il panino perfetto è quello che riesce a mixare due consistenze diverse: morbidezza e croccantezza. Non bisogna trascurare nessuno dei due elementi, anche se ci sino due scuole di pensiero: quella inglese che vuole il sandwich fatto col pane a cassetta e quella latina che preferisce il pane casereccio: sarà il companatico ad equilibrare le consistenze.










 Se il pane e gli ingredienti da scegliere sono infiniti e per comporli basta  seguire la propria fantasia, la regola per un risultato perfetto è invece  semplice: Non esagerare e non sovrapporre troppi gusti, scegliere pochi ingredienti :un elemento croccante, uno morbido, uno acido e uno fresco.




Ovviamente a nulla valgono gli sforzi se gli ingredienti non sono freschi e di stagione.
Il panino va sempre fatto al momento e consumato in giornata e, una volta preparato, va avvolto in un tovagliolo ben stretto in modo da far uscire l’aria, ma non schiacciato troppo forte perché ciò può far fuoriuscire i liquidi.
Se si ha intenzione di portarlo via per consumarlo in un secondo tempo, è bene spalmare sulle fette di pane un filo di burro che,  essendo un ingrediente idrorepellente, aiuterà a non ammorbidire troppo il pane.




 Come è meglio posizionare gli ingredienti nel panino? prima gli ingredienti morbidi, le salse sul fondo del panino, poi l'ingrediente principale  e per ultimo quello croccante.Gli elementi con un sapore deciso e grintoso, come i sottaceti e i sapori piccanti, andrebbero inseriti al centro del pane così da non far giungere al palato il sapore intenso già al primo morso, coprendo tutti gli altri sapori più delicati. Importante è che la temperature fra i vari elementi del panino sia uniforme.



giovedì 27 ottobre 2016

Fido : un esempio di amore e fedeltà

Una sera d'inverno del 1941 un uomo residente a Luco del Mugello, Carlo Soriani, operaio alle Fornaci Brunori di Borgo S.Lorenzo, trovò in un fosso un cucciolo di cane ferito. Ignorando a chi potesse appartenere, Soriani lo portò a casa e decise di adottarlo, dandogli il nome di Fido.

Una volta ristabilitosi, il cane si affezionò talmente al suo padrone, che ogni mattina lo accompagnava da casa alla piazza centrale di Luco, dove Soriani avrebbe preso la corriera per Borgo S. Lorenzo.
Fido tornava quindi a casa, ma alla sera era di nuovo alla fermata della corriera, attendendo l'arrivo del padrone, che poi riaccompagnava a casa.

Il 30 dicembre 1943, in piena guerra, Borgo S.Lorenzo fu oggetto di un violento bombardamento alleato: anche le Fornaci Brunori furono colpite e molti operai, tra cui Carlo Soriani, perirono. 

La sera stessa Fido si presentò come al solito alla fermata della corriera, ma ovviamente non vide scendere il suo amato padrone.
Il fedelissimo animale non si perse d'animo e per i quattordici anni successivi (oltre 5000 volte), fino al giorno della sua morte, si recò quotidianamente alla fermata, nella speranza, purtroppo vana, di veder scendere Soriani.
(da wikipedia)

Nel frattempo la guerra era finita, l'Italia stava cambiando, ma per il vecchio cane la speranza di veder tornare il suo padrone non cambiava mai. Ormai tutti nel paese lo conoscevano e tutti gli volevano bene, tanto che nel 1957 non solo il Comune di Borgo insignì Fido della medaglia d'oro ma gli dedicò anche un monumento,proprio nella piazza centrale del paese.

 Lo scultore Salvatore Cipolla realizzò una statua in maiolica che raffigurava il cane, appoggiata a un basamento di pietra su cui sta scritto: A Fido, esempio di fedeltà.







La  fama di Fido uscì dai confini del paese e la sua storia fu raccontata su alcune riviste molto diffuse a livello nazionale nonchè nei cinegiornali dell'Istituto Luce.








Quando Fido morì il 9 giugno del 1958 il quotidiano fiorentino La Nazione ne diede notizia con un articolo a quattro colonne e nel corso dello stesso mese la famosa Domenica del Corriere commemorò Fido con una copertina firmata da Walter Molino: Fido viene ritratto in punto di morte sul ciglio della strada con sullo sfondo quella corriera che per tanti anni aveva puntualmente aspettato.
  



Per permettergli di tornare finalmente accanto al suo padrone, Fido fu sepolto all'esterno del muro perimetrale del cimitero di Luco, dove riposa il suo padrone Carlo.





 Con tante brutte storie che ci vengono raccontate ogni giorno, mi scalda il cuore ricordare questo lontano episodio di amore e fedeltà.