giovedì 5 gennaio 2017

Il Paese dei campanelli




Da qualche anno a questa parte, con la complicità di Dindi e Giorgio, per evitare l' abbioccamento  che immancabilmente mi prende nell'attesa del brindisi di mezzanotte, preferisco festeggiare l'arrivo del nuovo anno con comodo, il primo giorno di gennaio, nel pomeriggio, a teatro, con l'operetta.

Per chi fosse così giovane da non conoscere nemmeno per nome l'operetta, spiegherò che si tratta di un genere teatrale e musicale nato nella seconda metà dell'Ottocento e divenuto famoso prima in Francia e poi in Austria.
A differenza del melodramma tradizionale, più noto come opera, l'operetta alterna brani musicali a parti dialogate, ma la sua peculiarità non consiste solo in questa alternanza di musica e parole, e nemmeno nelle trame quasi impalpabili, o nelle scenografie sfarzose. In realtà ciò che il pubblico apprezza è la vivacità musicale, l'allegra coreografia dei balletti, l'effervescenza delle battute spesso improvvisate.
Insomma una specie di musical dei nostri nonni e bisnonni, che rappresentava il gusto della borghesia francese e austriaca fin de siècle, che amava le storie sentimentali, condite con un po' di pepe, ambientate nella buona società del tempo.
Giusto per fare qualche nome, in Francia si distinsero come autori Offenbach e Hervé, in Austria Strauss e Lehar.

L'operetta italiana, sulla scia di quella austriaca, prese piede nella prima parte del Novecento, soppiantata poi,  da altri spettacoli musicali, come la rivista.
Chiusa la premessa e tornando al nostro pomeriggio a teatro per il Capodanno 2017, la dimostrazione che l'operetta è spettacolo ormai desueto viene inequivocabilmente fornita dall'età media del pubblico  nei palchi e in platea, nonostante qualcuno si sia adoperato per abbassarne il livello, trascinando con sé alcuni ( ben pochi...) bambini recalcitranti con la promessa di chissà quale ricompensa.


 
Eppure , quando le luci si abbassano e il sipario si apre, scatta la magia del teatro, un mix di attesa e sorpresa, un'atmosfera che non  ci sarà mai nemmeno nella più sofisticata multisala cinematografica.
 
Subito il pubblico si sente coinvolto nella vicenda, anche perché il capocomico, che sa far bene il suo mestiere, si rivolge alla platea con riferimenti precisi, come se la rappresentazione fosse messa in scena in esclusiva per i presenti.
 
"Il Paese dei Campanelli" è un'operetta scritta da Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato. Andata in scena nel novembre del 1923 al Teatro Lirico di Milano, ebbe subito successo per la leggerezza del testo, la melodiosità e orecchiabilità dei brani musicali.
 
La vicenda si svolge in un immaginario paese olandese, dove i pescatori vivono con le loro mogli in colorate casette ciascuna dotata di un piccolo campanile destinato a squillare nel momento in cui i vincoli coniugali di fedeltà venissero infranti.
Poiché una nave di aitanti marinai inglesi approda sull'isola, la pace del paese viene turbata e, tra malintesi, equivoci e nuovi e imprevisti arrivi, i campanelli sui tetti delle casette hanno spesso occasione di squillare. Tutto alla fine si ricompone e la vita sull'isola torna alla normalità ma con cuori più leggeri.
 
 
 
 
Vista a quasi cent'anni dalla nascita, questa operetta mostra tutta la sua semplicità e ingenuità, ma è un tuffo nel passato che fa bene al cuore. Alcuni brani come la Giavanese o Luna, tu, non sai dirmi perché mi riportano indietro, in un passato lontano, molto lontano, quando a canticchiarli era mia madre,  ancora giovane e allegra.
 
Due ore e mezzo di spettacolo volate via piacevolmente, e la musica e i colori che indugiano nella mente per diverse ore.
 

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